PROFILI
GIURIDICI E COMPARATISTICI DELLA
PUBBLICITA' ON-LINE
a
cura di Ernesto Belisario ed Andrea Marciani
Internet permette
di adottare strategie e modalità pubblicitarie sofisticate e innovative;
infatti, con la rete è possibile personalizzare le comunicazioni
commerciali consentendo, così, la partecipazione attiva dell'utente.
Tra i vari mezzi pubblicitari, in primo luogo si può individuare
la pubblicità via e-mail; questo sistema corrisponde al mailing
tradizionale, ma con in più il vantaggio di essere infinitamente
più economico (anche se d'altro canto, è potenzialmente
più lesivo degli interessi dei consumatori).
Un'altra tecnica prevede l'uso degli spazi pubblici della rete (mailing
list, news) per inserirvi dei messaggi pubblicitari. Questo sistema, peraltro,
non risponde agli standard di netiquette della rete.
Inoltre si sta diffondendo l'uso dei banner. A parità di numero
di contatti, i banner sembrano essere più efficaci della pubblicità
diffusa mediante i media tradizionali in quanto consentono di selezionare
molto precisamente l'audience del proprio messaggio. Ciò avviene
sia facendo apparire sul motore di ricerca un banner che reclamizzi un
prodotto inerente all'oggetto cercato, sia selezionando i siti sui quali
far apparire i banner in base al loro argomento.
I banner consentono inoltre una misurazione precisa degli effetti della
propria comunicazione.
Infine si può aprire un sito vetrina attraverso il quale diffondere
il messaggio pubblicitario. Il sito può anche essere strutturato
in forma di negozio virtuale attraverso il quale vendere prodotti che,
nello stesso tempo, sono promossi e pubblicizzati.
LE REGOLA DA RISPETTARE
PER L'ON-LINE ADVERTISING
In generale, a tutte le forme di pubblicità virtuale sopra indicate,
si applicano le regole proprie del mondo reale.
Se un sito Internet è rivolto al pubblico, si realizza un'attività
di comunicazione e, pertanto, trovano applicazione le regole in materia
di pubblicità.
In proposito la formulazione dell'art.2 del d.lgs. 74/92 risulta essere
abbastanza chiara: si intende per pubblicità qualsiasi forma di
messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere
la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento
di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o servizi.
Nello stesso senso sembrano andare anche le pronunce dell'Autorità
garante della concorrenza e del mercato, la quale, nella decisione n.4820
del 27/03/97, afferma: Internet può essere, considerato un semplice
veicolo pubblicitario, con la conseguenza che le pagine ivi contenute
possono perseguire comunque una finalità pubblicitaria.
Appare, quindi, utile un breve excursus sulla disciplina della pubblicità.
In Italia, questa materia è regolata essenzialmente dal d.lgs.
74/92 (recentemente modificato dal d.lgs.67/00).
I principi fissati da tale decreto richiedono che la pubblicità
debba essere palese, veritiera e corretta.
Pertanto si potrebbe considerare ingannevole qualsiasi pubblicità
che, in qualunque modo, compresa la sua presentazione possa indurre in
errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che
essa raggiunge.
Ugualmente si potrebbe considerare ingannevole quella pubblicità
che, possa pregiudicare il comportamento economico degli acquirenti o
che, possa ledere un concorrente.
Inoltre il decreto (art.4) approfondisce chiarendo che la pubblicità
deve essere trasparente e quindi non deve ingannare il consumatore sulla
sua natura: deve essere chiaramente riconoscibile come tale.
Il d.lgs. 74/92 inoltre pone un'attenzione particolare alla tutela di
interessi specifici quali, da un lato, la salute e la sicurezza dei consumatori
e, dall'altro, la salvaguardia di bambini ed adolescenti.
Così, ad esempio, è considerata ingannevole la pubblicità
di prodotti pericolosi per la salute o la sicurezza dei consumatori ove
sia stata omessa l'indicazione della pericolosità per gli stessi.
Particolare tutela è riservata ai messaggi pubblicitari rivolti
a bambini o adolescenti, per evitare che ne sia minacciata la sicurezza
o che si abusi della loro naturale credulità e mancanza d'esperienza.
A tale scopo, le funzioni di vigilanza sono svolte dall'Autorità
della concorrenza e del mercato.
Nel nostro ordinamento, si ritrovano anche altre previsioni normative
che regolano l'esercizio della pubblicità. Ai sensi dell'art. 528
c.p. è, per esempio, illegittimo divulgare notizie che possano
concretarsi in un abuso della credulità popolare.
Vi sono poi divieti legati al tipo di prodotto; infatti, non si possono
pubblicizzare né articoli da fumo, né farmaci vendibili
solo dietro presentazione di ricetta medica.
Nello stesso senso sembra porsi la recente direttiva 2000/31/Ce destinata
ad essere attuata, nel nostro paese, entro il 17 gennaio 2002.
In particolare l'art. 6 stabilisce che l'informazione commerciale sulla
rete è lecita soltanto se rispetta una serie di condizioni minime
e cioè se:
- la comunicazione commerciale è chiaramente identificabile come
tale;
- la persona fisica o giuridica, per conto della quale viene effettuata
la comunicazione commerciale, è chiaramente identificabile.
La disciplina attualmente in vigore si presta ad essere applicata anche
all'advertising on-line, anche se sembrerebbero opportuni ulteriori interventi
normativi per alcune tipologie di marketing che possano risultare particolarmente
invadenti nei confronti del consumatore.
E-MAILING
Parlando di Internet non si può trascurare l'e-mailing, in quanto
il Web ne esalta il potenziale di comunicazione che, tuttavia è
soggetto ad una serie di limitazioni anche di ordine giuridico.
Infatti, l'invio non sollecitato di e-mail pubblicitarie non appare conforme
al dettato dell'art.10 del d.lgs. 185/99; pertanto è vietato l'uso
indiscriminato dell'e-mail per divulgare messaggi promozionali.
Nello stesso senso si pongono le previsioni contenute nella direttiva
comunitaria 2000/31/Ce (art.7). Infatti, il legislatore europeo impone
che le comunicazioni commerciali non sollecitate contengano espressa menzione
della loro natura; inoltre delinea un sistema di tipo "opt out"
imponendo ai soggetti che fanno comunicazione via e-mail di consultare
delle liste di prossima realizzazione alle quali si potranno iscrivere
coloro i quali non desiderino ricevere tali informazioni.
In Italia, il divieto di comunicazioni commerciali non sollecitate è
desumibile, oltre che dall'art.10 del d.lgs. 185/99, anche da altre norme.
Ai sensi dell' art.11 della legge 675/96 in materia di privacy, ad esempio,
il trattamento dei dati personali (l'e-mail di una persona, se associata
al suo nome, è un dato personale) è vietato se realizzato
senza il preventivo consenso dell'interessato.
Attualmente, l'invio di un'e-mail pubblicitaria, se effettuato senza il
consenso dell'interessato, costituisce trattamento illecito di dati personali,
sanzionabile civilmente (con risarcimento del danno anche non patrimoniale
ai sensi dell'art.29 della legge 675/96); pertanto, non appare consigliabile
l'uso indiscriminato dell'e-mail come strumento di comunicazione commerciale.
La diffusione di informazioni a contenuto pubblicitario sta percorrendo
altre strade di maggior successo, infatti, i provider hanno intuito molto
rapidamente le potenzialità dell'advertising on line ed hanno cominciato
ad offrire collegamenti ad internet senza canone d'abbonamento ma con
l'unico obbligo di ricevere nella propria casella di posta elettronica
alcune comunicazioni pubblicitarie.
In tal modo il provider può coprire il mancato guadagno con i compensi
percepiti dalle aziende che intendono fare pubblicità su internet.
Questo sistema presenta per le aziende un vantaggio rilevante: la possibilità
di calibrare il claim in funzione del soggetto cui è destinato,
garantendo in tal modo, una maggiore efficacia del messaggio pubblicitario.
In tal senso ha fatto scuola la decisione presa dall'Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato n. 8051 (PI 2671) per il caso Libero Infostrada.
La vicenda ha avuto inizio nell'agosto del 1999 quando l'ALCEI, in qualità
di associazione di consumatori, ha ravvisato gli estremi della pubblicità
ingannevole in un comunicato della Società Infostrada Spa; ed ha,
pertanto, adito il Garante.
Il messaggio ometteva di specificare i vincoli contrattuali cui era subordinata
l'eliminazione del canone d'abbonamento ad internet.
Il consumatore non era adeguatamente informato sul fatto che la società
si riservava il diritto di conservare traccia, nei propri log file, dei
siti visitati dall'utente al fine di determinare una mappa delle sue preferenze
con lo scopo di pianificare e personalizzare le mail pubblicitarie.
I legali della Società Infostrada sostenevano, in primo luogo,
che l'unica prestazione richiesta all'utente di Libero era quella di tollerare
l'invio di alcune mail pubblicitarie calibrate con il sistema della profilazione;
ed in secondo luogo, che ciò non comportava una lesione della sfera
privata dell'utente dato che i siti da cui era possibile ricavare dati
sensibili, ossia strettamente personali, (ai sensi della L. 675/96) non
erano inseriti nella lista di log fatta dalla Società.
Inoltre, i legali della società sostenevano che la pubblicità
a mezzo di posta elettronica non è assimilabile ad altre fattispecie,
quali la diffusione di messaggi pubblicitari effettuati a mezzo fax o
telefono, e ciò sul presupposto che la ricezione della singola
mail non comporta per l'utente la temporanea incapacità di ricevere
altri messaggi, come invece accade per le comunicazioni via fax o telefono.
La tesi difensiva della società era incentrata sul concetto legale
di gratuità; il quale non elimina, per il fruitore del servizio
gratuito, qualsiasi obbligo, ma semplicemente l'obbligo di un corrispettivo
in denaro.
I legali di Infostrada concludevano asserendo che nel procedimento di
profilazione, l'utente non cedeva alcun bene economicamente rilevante;
ma si impegnava solamente ad una prestazione "passiva" priva
di per sé di alcun valore giuridico.
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha però
deciso diversamente emanando una decisone di grande interesse per tutti
gli operatori del settore.
Il Garante ha ritenuto che anche il semplice atto di ricevere l'invio
di messaggi pubblicitari tramite mail costituisca una vera e propria obbligazione
passiva ai sensi del già citato art. 10 Dlg. N. 185/ 1999 e che
quindi, tale invio, non solo sia subordinato alla preventiva autorizzazione
del destinatario ma che crei un vero e proprio diritto disponibile e negoziabile
da parte dell'utente.
Per altro verso, i dati raccolti attraverso la profilazione del navigatore,
anche se inutili se presi singolarmente, hanno un enorme valore se valutati
nel loro insieme.
Il garante, pertanto, li paragona a quei beni di consumo definibili grezzi
o semilavorati, i quali, anche se non possono essere consumati immediatamente,
hanno comunque un valore di mercato.
Per quel che concerne la tutela della privacy, l'Autorità Garante
per la protezione dei dati Personali, appositamente interpellata al riguardo,
ha ribadito la necessità che l'interessato consenta al trattamento
dei propri dati personali solo dopo una completa informazione circa l'utilizzo
e le modalità del trattamento stesso.
Pertanto anche il Garante della privacy ha manifestato il proprio dissenso
nei confronti del comportamento della Società.
Alla luce di queste considerazioni, il comunicato in oggetto è
stato ritenuto ingannevole e ne è stata vietata l'ulteriore diffusione.
Quali orientamenti possiamo trarre dalla vicenda?
* La ricezione di mail pubblicitarie si profila come una prestazione a
contenuto patrimoniale suscettibile di negoziazione
* Affinché l'utente possa validamente autorizzare il trattamento
dei propri dati personali è necessario che egli sia correttamente
informato delle modalità di raccolta e trattamento dei dati.
FILTRI ANTISPAMMING
Nella pratica non è infrequente che i clienti si rivolgano ai propri
Internet Service Provider lamentandosi dello spamming di cui sono vittime.
In tal caso l'ISP può apporre un filtro alla posta in arrivo per
quello specifico cliente, in modo che tutti i messaggi provenienti dallo
Spammer non gli vengano inoltrati e finiscano con l'essere distrutti.
Tale procedura non è però esente da rischi; infatti, come
conseguenza di questo comportamento potrebbe accadere che venga distrutta,
insieme alle varie mail spedite dallo spammer al cliente, anche una lettera
di estrema importanza per quest'ultimo.
Nel caso che l'ISP abbia proceduto ad installare un filtro senza previamente
avvertire il cliente, quest'ultimo potrebbe presentare una querela contro
il provider ai sensi dell'art. 616 C.P. che prevede il reato di <Violazione,
sottrazione e soppressione di corrispondenza >.
Appare, pertanto, utile una breve trattazione del reato di cui all'art.
616 C.P.e della sua applicabilità al caso di specie.
L'articolo in questione è stato introdotto allo scopo di tutelare
il bene giuridico della libertà e segretezza della corrispondenza
e trova le sue basi nell'art. 15 della Costituzione.
La norma in questione stabilisce che chiunque prenda cognizione del contenuto
di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero la sottragga3o
distrugga4, anche parzialmente, è punito con la reclusione fino
ad un anno o con la multa fino ad un milione.
Nel caso concreto l'ISP, mettendo il filtro, determina da prima, la soppressione
e poi la distruzione della corrispondenza.
In effetti, nel caso di specie, sembra applicabile la causa di giustificazione
prevista dall'art. 50 C.P., ossia il consenso dell'avente diritto.
Il consenso è un atto giuridico che si sostanzia in un permesso
rilasciato dal titolare dell'interesse protetto, ossia colui che, altrimenti,
verrebbe ad essere identificato come il soggetto passivo del reato.
Il consenso si limita ad attribuire una facoltà in capo all'agente,
in questo caso l'ISP, in modo ché la condotta posta in essere da
questo, pur integrando gli estremi di una fattispecie penalmente sanzionata,
non provochi l'intervento repressivo dello Stato, in quanto l'Ordinamento
non ha interesse a tutelare quei beni giuridici verso i quali gli stessi
titolari, per primi, non manifestino attenzione; quindi, il consenso non
attribuisce all'agente, diritti di disposizione del bene in oggetto né
crea vincoli obbligatori che gli impongano di attivarsi.
Da quanto detto sembra emergere un'importante caratteristica del consenso,
ossia che il titolare del diritto possa, in qualsiasi momento, revocarlo.
Il consenso può anche essere conferito implicitamente tramite comportamento
concludente e, come nel caso di specie, può anche essere putativo.
Il consenso putativo si verifica allorché l'agente operi nell'erronea
supposizione dell'avvenuto conferimento. In tal caso sembra applicabile
l'ultimo comma dell'art. 59 C.P. che stabilisce che: < Se l'agente
ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena,
queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia se si tratta d'errore
determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando
il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo.>
Il consenso deve avere determinati requisiti quali:
* L'essere prestato spontaneamente dal titolare del diritto
* L'avere ad oggetto un diritto disponibile
* La capacità del titolare
* La sussistenza del consenso al momento del fatto.
Quindi, possiamo tentare di delineare quale potrebbe essere la linea di
condotta più sicura per l'ISP che riceva la telefonata o la mail
del cliente che si lamenta dello spamming subito.
In proposito, il problema principale non sembrerebbe consistere nell'effettivo
rilascio del consenso, poiché é prevedibile che il cliente
che contatta il provider lamentandosi di un problema voglia effettivamente
che l'ISP si attivi per risolverlo. D'altro canto, potrebbe essere problematico
fornire la prova della concessione di un consenso informato e consapevole
delle conseguenze. Potrebbe, quindi, rivelarsi utile l'adozione di accorgimenti
atti ad evitare che il cliente, che abbia scoperto di aver perso un'importante
comunicazione a causa del filtro, non possa, in seguito, rivalersi sul
provider adducendo una mancata informazione sull'apposizione e sulle conseguenze
del filtro stesso.
Inoltre, considerando che il consenso può essere revocato in ogni
momento, occorrerebbe preoccuparsi anche di tutelare l'ISP dai "ripensamenti"
del cliente che, potrebbe addurre di aver ritirato il consenso in un tempo
anteriore alla commissione del fatto.
Pertanto l'ISP potrebbe:
1. inviare una lettera con cui prospetta al cliente la soluzione del problema
da lui proposto tramite l'applicazione di un filtro; le conseguenze che
tale filtraggio comporterà, con speciale riguardo alla soppressione
e distruzione della posta inviata dallo spammer; informare il cliente
della possibilità di esprimere la revoca del consenso in qualsiasi
momento ottenendo la rimozione dei filtri (immediatamente e gratuitamente)
tramite una semplice mail; nonché l'indicazione dei tempi tecnici
entro i quali l'ISP si impegna a rimuovere i filtri.
2. La risposta dovrebbe avvenire a mezzo posta, salvo il caso della firma
elettronica, e ciò perché il consenso prevede, come requisiti,
la legittimazione di chi lo presta e quindi è indispensabile una
precisa identificazione, rectius l'imputazione del soggetto che contatta
il provider. Altro elemento importante è la data che deve essere
anteriore alla verificazione dell'evento per il quale il consenso è
stato prestato e che, in mancanza della procedura di time stamping, dovrebbe
essere diversamente provata.
3. In ultimo, l'ISP potrebbe trasmettere, periodicamente, una mail al
cliente ricordandogli sia il proseguimento dell'attività di filtraggio
sia i nominativi dei soggetti dei quali non gli pervengono le mail.
In tal modo, attraverso una diffusa e continua informazione, sembra possibile
inquadrare la validità del consenso prestato non solo nella spontaneità
della sua concessione ma anche nella corretta e completa informazione
sui benefici e sui rischi che la procedura di filtraggio comporta.
PAID TO SURF
Considerando che la ricezione di mail pubblicitarie costituisce una prestazione
negoziabile, alcuni imprenditori hanno intrapreso un nuovo tipo di advertising,
il cd. PTS, ossia il paid to surf .
L'utente percepisce una certa somma di denaro ogni volta che apre una
mail pubblicitaria, o clikka su un banner.
In tal modo la prestazione passiva della ricezione viene retribuita con
reciproco vantaggio delle parti.
Tuttavia, appare opportuno che anche l'operatore del "Permission
Marketing" consenta ai propri clienti di valutare obbiettivamente
le finalità del trattamento dei loro dati personali, in conformità
con quanto affermato dal Garante della privacy in occasione del caso Infostrada.
Il rispetto di una simile prassi non sembra essere molto diffuso sia tra
i pochi operatori PTS italiani, sia tra quelli americani o inglesi che
costituiscono la maggioranza.
In questo senso sarebbe forse opportuna una presa di coscienza delle realtà
commerciali della rete da parte degli utenti medi, i quali potrebbero
essere indotti a considerare il Web come una sorta di televisione, anziché
un luogo pubblico in cui le loro scelte e preferenze, non solo lasciano
una traccia evidente, ma costituiscono il "core business" di
molte società che disegnano nuovi scenari di marketing.
BANNER E SITI VETRINA
La maggior parte delle comunicazioni pubblicitarie on line si manifesta
attraverso due strumenti fondamentali: i banner ed i siti vetrina.
Anche per questa branca dell'advertising on line sarebbe opportuno porre
delle regole.
Uno dei principi cardine della disciplina pubblicitaria è quello
della riconoscibilità della pubblicità come tale (ex art..
4 Dlg. N. 74/1992).
Questa norma trova ampia applicazione nelle trasmissioni televisive dove
la scritta "messaggio promozionale" appare allo scopo di evitare
possibili confusioni nei telespettatori, i quali potrebbero scambiare
i messaggi pubblicitari con informazioni a carattere oggettivo.
Anche navigando in internet è possibile fraintendere il contenuto
delle informazioni che ci viene offerto.
Di fatto un banner è un messaggio pubblicitario che si colloca
in un contesto, la pagina Web, che può anche non avere di per sé
carattere pubblicitario.
Tuttavia i banner che recano la scritta "messaggio pubblicitario"
sono molto rari perché generalmente si tende a integrare il messaggio
pubblicitario con la pagina che lo ospita; così che, la coerenza
tra la natura tematica di certe pagine e la pubblicità che vi si
diffonde rende arduo discernere l'informazione dalla promozione.
Al riguardo, appare utile differenziare il banner dal passive advertising;
il primo conserva la propria riconoscibilità come messaggio promozionale,
pur armonizzandosi tematicamente nel contesto della pagina che lo ospita.
Mentre il passive advertising si colloca al di là della semplice
armonizzazione tematica, inducendo l'utente a ritenere che il contenuto
del messaggio, volutamente reso indistinguibile dal resto delle informazioni
della pagina, sia di natura oggettiva anziché pubblicitaria.
A tal proposito l'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato
ha emanato un'interessante decisione, n.8823 (PI 2966), nei confronti
di un consorzio di società operanti nel porto di Taranto, le quali
lasciavano intendere di costituire la totalità delle agenzie portuali
quando, invece ne rappresentavano solo una parte.
Per di più la struttura del sito induceva l'utente ad attribuire
all'informazione una natura per così dire istituzionale; con il
duplice risultato di suscitarne la fiducia nella completezza ed oggettività
dell'informazione ed, al contempo, di celare la natura promozionale delle
informazioni ivi contenute.
Il Garante ha considerato ingannevole il messaggio e, pertanto, ne è
stata vietata l'ulteriore diffusione.
Quindi è opportuno ricordare che:
* La pubblicità in tema con l'argomento del sito è ormai
la norma, ma essa deve essere sempre riconoscibile come tale.
* Il passive advertising è vietato dalla legge ed espone l'imprenditore
al rischio di dover ritirare la comunicazione
L'importanza delle parole
I termini "garanzia" e "garantito"possono essere usati
solo se accompagnati dalla specificazione dei termini e delle modalità
delle garanzie offerte.
Data la generale esiguità degli spazi pubblicitari sui normali
mezzi di comunicazione si conviene che tale requisito possa essere utilmente
soddisfatto anche rinviando l'utente ad un altro testo, purché
questo sia facilmente reperibile.
Tale deroga però non sembra applicabile all'advertising on line
perché è sufficiente un link per rinviare l'utente a tutte
le informazioni di cui può aver bisogno.
Un esempio concreto di questo tipo di carenza informativa è rappresentato
dalla delibera n.8369 (PI 2753) nella quale il Garante ha ritenuto ingannevole
la pubblicità della Hewlett Packard, che garantiva l'assistenza
sul luogo di installazione delle sue stampanti, senza specificare che
tale assistenza si limitava ad una consulenza telefonica ed all'eventuale
spedizione dei pezzi di ricambio.
Tale provvedimento risulta interessante anche perché in esso si
pone una fondamentale interpretazione della legge.
Nel tentativo di difendere la società chiamata in giudizio, i legali
della Packard obiettavano che la piccola impresa che li aveva citati era
carente di legittimazione attiva, ossia non rientrava, in quanto persona
giuridica, nella definizione (contenuta nell'art. 7, secondo comma del
Decreto Legislativo 74/92.) di consumatore e pertanto non avrebbe potuto
ricorrere al Garante.
Sebbene formalmente corretta questa impostazione non è assolutamente
condivisibile, infatti il Legislatore nazionale ha inteso dare un'accezione
ampia di consumatore, tale da comprendere anche le persone giuridiche,
perfino prescindendo dall'esistenza di un nesso tra lo scopo perseguito
dalla propria attività di impresa e l'oggetto della controversia
pubblicitaria.
Per cui, come nel caso in oggetto, una società operante nel campo
dell'editoria è stata ritenuta legittimata a chiamare in giudizio
una società produttrice di hardware.
Il Garante ha motivato questa interpretazione affermando che la disciplina
della pubblicità trova la sua giustificazione non tanto nella tutela
del consumatore quale "contraente debole" ma nella tutela di
un interesse pubblico, e pertanto generale, all'eliminazione delle comunicazioni
pubblicitarie ingannevoli.
* Ancora una volta emerge il ruolo dell'affidabilità del venditore
e della sua capacità di conquistare i clienti.
* I termini "garanzia" e "garantito" devono essere
specificati nel loro contenuto, in modo chiaro ed inequivocabile.
* La legittimazione attiva, ossia il diritto di chiamare in causa una
società per aver diffuso pubblicità ingannevole o comunque
non conforme alla legge, spetta anche alle persone giuridiche.
* La chiave di lettura della disciplina pubblicitaria si trova nell'interesse
pubblico all'eliminazione delle comunicazioni pubblicitarie ingannevoli.
L'ORIGINE GEOGRAFICA
La "dematerializzazione" degli esercizi commerciali costituisce
il punto di forza delle imprese che operano on line; d'altra parte, la
presenza di una diffusa rete di distribuzione ingenera, nel potenziale
cliente, un affidamento sulla serietà e solidità dell'impresa,
quindi è senz'altro possibile menzionare la vastità della
propria rete di distribuzione al fine di attirare clientela.
Tuttavia, affinché la pubblicità non sia ingannevole, non
basta che esista un recapito più o meno "virtuale", come
la mera attivazione di numeri verdi internazionali o la presenza di siti
redatti in varie lingue e registrati con diversi country code TLDN ma
è fondamentale che a tali recapiti corrisponda una struttura effettivamente
in grado di mantenere ciò che promette.
Al riguardo si ricorda una pronuncia n.5265 (PI 1323) nella quale il Garante
ha posto due punti fermi; da un lato si è stabilito che l'indicazione
di recapiti internazionali, non meglio precisati, contribuisce a fuorviare
l'acquirente che tende ad attribuire all'operatore pubblicitario una consistenza
che in realtà egli non possiede.
D'altro lato è stato ribadito che l'origine geografica di un prodotto
non deve essere artificiosamente sostituita con una provenienza che, per
tradizione, storia o particolari condizioni ambientali, induca il consumatore
a ritenere che il bene acquistato abbia qualità superiori rispetto
a quelle effettivamente possedute.
Pertanto è stato ritenuto fuorviante l'uso della frase "orologio
a movimento svizzero" per un oggetto costruito interamente in Italia,
da parte di una società italiana, che ha però acquistato
un marchio d'origine svizzera.
Da ricordare che:
* All'uso delle nuove tecnologie deve corrispondere un'infrastruttura
efficiente e capace di mantenere il livello del servizio promesso.
* Non è lecito indurre in errore l'acquirente anche su questioni
non direttamente pertinenti l'oggetto venduto quali, ad esempio, la zona
di produzione e l'esistenza di una diffusione territoriale più
ampia che nella realtà.
LA PUBBLICITA' ISTITUZIONALE
Il Garante ha ritenuto, nel provvedimento n. 4820 (PI 1268), che internet
si presta ad essere considerato un mezzo pubblicitario tout court così
che le pagine che lo compongono possono comunque perseguire una funzione
pubblicitaria.
Si tratta del delicato problema della pubblicità istituzionale,
ossia di quel particolare tipo di comunicazione adottato da determinate
società che, pur non sollecitando direttamente l'acquisto di alcun
bene, rafforza la stima e l'affezione nel potenziale cliente.
In tal modo queste imprese troveranno una clientela affezionata e ricettiva
alle loro offerte.
Il tema della fidelizzazione della clientela è uno dei più
rilevanti per l'on line marketing, ove è necessario emergere dalla
marea di siti concorrenti.
Si possono prendere ad esempio siti come Amazon e Pickwick.it, vere e
proprie comunità virtuali, che attraverso le relazioni tra gli
utenti si rinsaldano giorno per giorno ed inseriscono le transazioni economiche
nel contesto dei rapporti interpersonali.
Tra gli strumenti più diffusi al fine di creare una comunità
virtuale vi è la diffusione di una mailing list; tuttavia l'imprenditore
che voglia servirsi di un simile strumento deve tener presente le implicazioni
che esso comporta per ciò che attiene alla legislazione in tema
di tutela dei dati personali.
Infatti, affinché l'utente possa ricevere la mail è necessario
che questi fornisca il proprio indirizzo di posta elettronica che, almeno
per le persone fisiche, costituisce dato personale.
In tal senso è necessario predisporre il consenso e l'informativa,
come previsto ai sensi dell'articolo 11 della L.675/96.
Il consenso, pertanto, potrebbe essere espresso con la formula: <Il
sottoscritto, acquisite le informazioni di cui all'articolo 10 della legge
675/96, ai sensi dell'articolo 11 della stessa legge, conferisce il proprio
consenso ai seguenti trattamenti dei propri dati personali. ( Indicando
poi analiticamente sia i singoli trattamenti sia i soggetti o le categorie
di soggetti cui i dati vadano comunicati e le finalità per cui
la comunicazione è effettuata, nonché le eventuali diffusioni
e le finalità delle medesime.)>
Quanto alle caratteristiche del consenso, lo stesso articolo 11 afferma
che condizione di validità del consenso è, oltre al fatto
che sia prestato liberamente, la forma specifica del conferimento nonché
la sua documentabilità per iscritto.
A tal riguardo, un'interpretazione rigorosa dei requisiti formali prescritti
dalla normativa comporterebbe non pochi problemi di ordine pratico.
Infatti, affinché si abbia forma scritta non è sufficiente
la pressione sul bottone virtuale di conferma da parte dell'utente all'atto
di fornire il proprio indirizzo.
Nell'attesa che la firma elettronica si diffonda, al momento la soluzione
che sembrerebbe preferibile, da un punto di vista prettamente giuridico,
è quella di far stampare all'utente un modulo che firmerà
e rispedirà al mittente.
Tuttavia una simile procedura appesantirebbe non poco la procedura di
sottoscrizione ad una mailing list con il rischio di non raggiungere lo
scopo che ci si era prefissi.
Il Garante, comunque, ritiene che possa considerarsi pubblicità
anche la sola promozione dell'immagine dell'operatore pubblicitario.
* Tra i vari tipi di pubblicità istituzionale, quello che finora
ha riscosso il maggior successo è la formazione di una comunità
virtuale di utenti; tuttavia è necessario rispettare la normativa
vigente in materia di tutela dei dati personali.
LEGGE APPLICABILE
I veri problemi derivano dall'assenza di confini geografici nelle reti
telematiche; tale carenza rende ardua la ricerca della disciplina nazionale
applicabile ed inefficace l'irrogazione di sanzioni in caso di comportamenti
illegittimi.
Pertanto nel preparare un sito non è sufficiente fare riferimento
esclusivamente alla normativa del proprio paese, ma, soprattutto se ci
si rivolge all'estero, è fondamentale considerare che si potrebbero
violare le più disparate norme straniere.
Ad esempio, nel 1995, la società statunitense COMPUSEVE Inc., sollecitata
dalla magistratura tedesca che l'accusava di violare le proprie leggi
in materia di pornografia e protezione dei bambini, fu costretta ad interrompere
l'accesso ai suoi newsgroup ai vari clienti sparsi nel mondo.In un altro
caso, la società inglese Virgin Atlantic Airways è stata
sanzionata dal Dipartimento Trasporti degli USA per aver omesso di comunicare,
in maniera trasparente, alcune condizioni di tariffa divulgate attraverso
Internet.
Il problema è quindi che il medesimo messaggio pubblicitario può
essere giudicato in modo totalmente diverso dalle norme dei vari paesi.
In astratto, quindi, si potrebbe essere chiamati a rispondere, in una
qualunque parte del mondo, per l'illegittimità del messaggio comunicato.
Da un punto di vista pratico, quindi, sarebbe consigliabile tenere conto
delle normative dei paesi ai quali il sito si rivolge concretamente. Tuttavia
anche questa soluzione non è esente da problemi; proprio per questo
si è tentato di proporre soluzioni di tipo diverso. In particolare
alcuni hanno caldeggiato l'adozione del criterio della "legge del
paese di upload". Questo criterio, che è già stato
adottato in materia di diritto d'autore per le trasmissioni televisive
via cavo, mal si adatta alla realtà di Internet. Infatti, il paese
di upload può essere di difficile identificazione, dato che può
non coincidere con quello in cui è posizionato il server su cui
si trova il sito.
D'altronde tale criterio può dar luogo a comportamenti elusivi:
è prevedibile, infatti, che saranno scelti i paesi con le leggi
meno incisive.
Inoltre la giurisprudenza sopraindicata dimostra come nella pratica abbia
già trovato applicazione un criterio differente: quello della legge
del luogo in cui il sito è visibile. Appare dunque probabile che
si formi un consenso internazionale su quest'ultima regola. La normativa
in materia di pubblicità, che funge da fulcro del criterio in oggetto,
ha, principalmente, la funzione di tutelare il consumatore ed assume,
pertanto, carattere imperativo e cogente in molti ordinamenti divenendo,
così, il parametro unitario cui fare riferimento.
* L'assenza di delimitazioni territoriali, per ciò che attiene
al Web, rende difficile la determinazione delle normative nazionali che
possono trovare applicazione.
* Il criterio del paese di upload non si concilia con la natura della
rete.
* Si sta diffondendo il criterio che prevede l'applicabilità delle
normative vigenti nei paesi in cui è possibile raggiungere il sito
* Come criteri pratici che consentano di valutare se un sito si rivolga
o meno ad uno specifico paese possono essere usati sia la lingua che la
valuta cui si fa riferimento.
LA PUBBLICITA' COMPARATIVA
La pubblicità, generalmente, si compone di due elementi distinti;
quello informativo, diretto a trasmettere le informazioni essenziali riguardanti
il prodotto e quello suggestivo teso a far leva sulla componente emozionale
dell'acquirente.
La comparazione effettuata nell'ambito pubblicitario afferisce ad entrambi
gli aspetti precedentemente citati e può essere divisa in: diretta
o indiretta. Nella comparazione indiretta si opera un raffronto con l'insieme
dei prodotti concorrenti e, pertanto, il giudizio negativo implicitamente
formulato da questo tipo di advertising perde di specificità e
viene agevolmente ricondotto dal consumatore alla normale enfasi pubblicitaria.
D'altro canto, la comparazione diretta limita il confronto ad un prodotto
specifico focalizzando l'attenzione del consumatore sul rapporto tra i
due beni.
Secondo la recente definizione della pubblicità comparativa, contenuta
nell'art. 2 let. b-bis del D.Lgs. n.74/92, così come modificato
dal D.Lgs. n.67/2000, si ha pubblicità comparativa quando si identifichi,
in modo esplicito o implicito, un concorrente ovvero i beni ed i servizi
offerti da costui.
Da tale definizione emerge chiaramente uno degli aspetti peculiari di
questo tipo di pubblicità, ossia il diretto coinvolgimento dell'attività
e dei prodotti del concorrente all'interno della propria iniziativa promozionale.
A tal proposito si chiarisce il peso dell'elemento emozionale, infatti
nella pubblicità comparativa il raffronto negativo, che viene operato
sul prodotto del concorrente, incide notevolmente sulla componente emozionale
degli acquirenti, orientandone i gusti e modellandone le scelte.
Per questi motivi, dottrina e giurisprudenza hanno, in passato, guardato
con diffidenza a questo tipo di pubblicità ritenendolo pericolosamente
vicino agli estremi della concorrenza sleale così come delineato
dall'art. 2598 c.c. I rari casi in cui si ammetteva la comparazione diretta
erano quelli della legittima difesa e dell'esercizio del diritto di critica.
Le recenti modifiche al Dlgs. 74/92 hanno ridisegnato i confini della
comparazione lecita, comprendendo in essa anche quella diretta.
L'art. 3 bis del Dlgs. 74/92 enuncia le condizioni di liceità della
pubblicità comparativa mettendo in risalto alcuni principi specifici
ai quali è possibile ricondurre le condizioni richieste dalla legge.
Parte della dottrina ha diviso le condizioni dell'articolo in oggetto
individuando quattro principi:
* il rispetto del principio di non ingannevolezza della pubblicità,
* il divieto di denigrazione,
* il divieto di confusione,
* il divieto di appropriazione dei pregi altrui.
In quest'ottica, attualmente, la disciplina italiana consente il raffronto
diretto tra due produttori instaurando, con ciò, una serie di vantaggi,
quali da un lato, una maggiore trasparenza ed una migliore informazione
a vantaggio del consumatore e, dall'altro, la tutela delle imprese concorrenti
alle quali è garantito un raffronto su basi rigorosamente oggettive.
In tal senso è interessante notare come, malgrado l'appartenenza
a gruppi diversi di comparazione, molte esperienze straniere siano giunte
a conclusioni analoghe. Del resto, storicamente, il diritto commerciale
ha mostrato la maggiore predisposizione all'interazione con ordinamenti
diversi in nome delle comuni necessità del mercato.
Vista l'incisività con cui si presenta la comunicazione pubblicitaria
realizzata nella forma della comparazione diretta, si comprende quanto
la velocità di reazione ad una comunicazione sleale, rappresenti
un fattore critico nella tutela dei diritti dell'imprenditore.
In questo senso si è dimostrato di grande rilevanza anche l'apporto
dell'IAP, l'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, il quale, al pari
dei suoi omologhi esteri, fornisce un mezzo agile e veloce di risoluzione
delle controversie, capace, quindi, di adattarsi alla realtà mutevole
ed in perenne evoluzione del settore pubblicitario.
In proposito la stessa Comunità Europea ha riconosciuto l'utilità
del sistema autodisciplinare anche nello specifico settore della pubblicità
comparativa, esortando gli Stati membri a realizzare, ove possibile, procedure
di giudizio parallele a quelle ordinarie Art. 8 Dlgs. 74/92.
In proposito appare esemplificativa la pronuncia del Giurì di Autodisciplina
Pubblicitaria n.3/2001 del 2 febbraio 2001. La decisione riguarda un recente
caso di comparazione diretta, diffusa su stampa e televisione, in cui
si comparavano le tariffe telefoniche, per le chiamate interurbane, di
Tele 2 e Telecom.
La Telecom aveva eccepito, in primo luogo, il carattere denigratorio della
rappresentazione "dell'utente Telecom" anziano e frustrato,
in contrapposizione al cliente della società Tele2 giovane e felice.
In secondo luogo si faceva notare l'ingannevolezza dello spot data l'esiguità
dei caratteri tipografici con cui si avvertiva dei limiti dell'iniziativa.
Il Giurì, in proposito, ha ritenuto non conforme agli articoli
2 e 15 del CAP il messaggio succitato e ne ha disposto la cessazione.
IL SISTEMA DI AUTODISCIPLINA
PUBBLICITARIA
L'Istituto dell'Autodisciplina pubblicitaria è un'associazione
non riconosciuta nata con lo scopo di regolamentare il fenomeno pubblicitario
e regolata dalla normativa in tema di contratti plurilaterali associativi.
Il sistema di autodisciplina pubblicitaria, sebbene caratterizzato da
un forte spirito di autonomia, si coordina con l'Ordinamento statale apportandovi
un prezioso contributo in termini di velocità di aggiornamento
ed agilità delle procedure.
L'affermazione, contenuta nella stesura del 1966, secondo la quale il
codice di lealtà pubblicitaria, come allora veniva chiamato, <<
intende contribuire all'affermazione di un costume di lealtà e
di correttezza dell'intero settore e fornire alla magistratura validi
criteri per la determinazione dei principi della correttezza professionale
pubblicitaria>> ha trovato conferma nella recente sentenza della
Corte di Cassazione del 15 febbraio 1999 n. 1529 secondo la quale, le
regole del codice di autodisciplina costituiscono parametri di riferimento
del principio di correttezza professionale e della sua evoluzione in una
realtà mutevole come quella pubblicitaria.
I caratteri di velocità e flessibilità propri dell'autodisciplina
rendono lo IAP un efficace strumento di controllo anche per quelle situazioni
mutevoli quali la pubblicità on line.
La dimensione transnazionale del Web rende necessario un coordinamento
tra le varie discipline e autodiscipline nazionali; sotto questo profilo
lo IAP fa parte dell'Alleanza Europea per l'Etica in Pubblicità
la quale, dal 1992, ha dato inizio al cosiddetto Cross-border Complaints
System, una procedura volta alla composizione del contenzioso in materia
di pubblicità diffusa attraverso i media situati all'estero. Il
sistema si fonda sul mutuo riconoscimento di organismi autodisciplinari
e mira ad estendere, anche al consumatore di un altro paese, la tutela
giurisdizionale offerta dallo stato in cui si trova "la fonte"
della pubblicità; Il Cross-border Complaints System sembra essere
l'approccio più efficace alla realtà internazionale del
Web; in quanto, è frequente il caso in cui le informazioni alle
quali l'utente accede sono conservate e diffuse da un server situato all'estero.
La procedura prevede la possibilità, per il consumatore, di attivare
gli strumenti di controllo del sistema autodisciplinare di un paese straniero
inoltrando il reclamo tramite l'organizzazione di autodisciplina pubblicitaria
del proprio paese, la quale provvederà a trasmettere il reclamo
all'associazione del paese da cui proviene il messaggio.
La vertenza viene, quindi, risolta sulla base del sistema autodisciplinare
adito, il quale deciderà se esistono gli estremi per l'applicazione
di un provvedimento; in caso affermativo, l'inserzionista dovrà
conformarsi alle decisioni prese dall'autorità disciplinare del
proprio paese. In caso contrario egli sarà soggetto alle sanzioni
previste dal proprio sistema autodisciplinare. Al termine del procedimento
l'organismo autodisciplinare darà comunicazione dell'esito sia
a colui che ha presentato il reclamo sia all'istituto autodisciplinare
che l'ha trasmesso.
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