La
prima sentenza di Cassazione relativa al software
Corte di Cassazione
sent. 24/11/1986
Pres. Carella, Est. Montoro, P.M. Afonte (concl. conf.);
Annulla Pret. Napoli 06-06-1985.
ric. S.i.a.e. - Pompa.
Il software
è opera dell'ingegno suscettibile di essere protetto ai sensi della
legge sul diritto d'autore.
Svolgimento del processo.
- Il 6 giugno 1985 il Pretore di Napoli dichiarava Domenico Pompa responsabile
del reato di cui all'art. 1 l. 29 luglio 1971 n. 406, per avere posto
in commercio 95 videocassette abusivamente riprodotte; e lo condannava
alla pena di due mesi di reclusione e di lire 300.000 di multa - pena
sostituita con la libertà controllata per la durata di 4 mesi -,
nonché al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento
dei danni e delle spese in favore della S.i.a.e., costituitasi parte civile.
Lo assolveva, invece, dal reato di pubblicazioni oscene perché
il fatto non costituiva reato e da quello di cui all'art. 171, lett. c),
l. 22 aprile 1941 n. 633, contestatogli per avere posto in commercio 143
cassette stereo con registrazioni di programmi per computers illecitamente
riprodotte - perché il fatto non era preveduto dalla legge come
reato.
Avverso quest'ultima parte della sentenza ricorreva ritualmente per cassazione
la S.i.a.e., che anzitutto deduceva la violazione di legge perché
il pretore aveva negato che i programmi per computers - il c.d. software
applicativo - fossero opera dell'ingegno a carattere creativo, catalogabili
tra quelle scientifiche; e, conseguentemente, che le illecite riproduzioni
degli stessi potessero perseguirsi penalmente a norma dell'art. 171 l.
cit.
Spiegava che il requisito della creatività discendeva dallo sforzo
espressivo dell'analista programmatore all'interno di un idioma e pur
nell'ambito dei principî tecnici di base, avendo costui ampi margini
di scelta e di valutazioni personali; che, in contrario, erano irrilevanti
lo scopo utilitario, il difetto di pregio estetico e la presenza di più
programmatori; mentre non era vero che il software non fosse esteriorizzabile,
essendo - ovviamente - intelleggibile a chi possieda le necessarie cognizioni
alla stessa stregua dello spartito musicale per il musicista.
Aggiungeva, poi, che i programmi applicativi di video games erano proteggibili
anche quali opere di carattere cinematografico e che per quelli duplicati
in Italia ma prodotti in U.S.A., a norma dell'art. 2 l. 16 maggio 1977
n. 306 (ratifica della convenzione universale di Parigi del 24 luglio
1971) valeva il principio dell'assimilazione, secondo il quale occorre
accordare protezione giuridica a qualsiasi prodotto considerato opera
dell'ingegno in uno qualsiasi degli Stati sottoscrittori.
Lamentava, infine, il difetto di motivazione della sentenza, che presentava
sul punto poche e apodittiche affermazioni.
Motivi della decisione. - I requisiti perché il risultato di una
attività intellettuale possa essere protetta a norma degli art.
2575 ss. c.c. e dalla l. 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni
possono essere così identificati: a) che si tratti di un'opera
dell'ingegno, quale espressione particolare di lavoro intellettuale applicato;
b) che l'entità prodotta sopravviva all'attività necessaria
a produrla ed abbia individualità, utilità, idoneità
ad essere goduta da altri; c) che - per dirla con la relazione alla legge
del 1941 - "...l'opera abbia un merito, sia pure modesto, perché
altrimenti non avrebbe il valore creativo che giustifica la protezione
e che dà all'opera stessa la necessaria originalità...";
d) che, infine, l'apporto nuovo riguardi i campi dell'arte e della cultura
indicati dalla legge.
Tutti questi requisiti si rinvengono nel c.d. software, letteralmente
la parte morbida o tenera (soft = soffice) di un computer, cioé
i dischi su cui sono registrati i programmi di base e applicativi (il
s.w. si contrappone ad hardware, la parte fisica, dura della macchina);
in senso traslato, complessi logici di istruzioni e documenti, appunto,
grazie ai quali il computer (in lingua italiana: ordinatore ed elaboratore
elettronico) riesce in tempo reale a fare elaborazioni che richiederebbero
tempi lunghi servendosi solo del cervello umano.
E' fuor di dubbio - quanto al primo - che sia opera dell'ingegno, nel
senso di prodotto di uno sforzo particolare di un intelletto specificatamente
educato e, soprattutto, vocato alla scienza informatica.
Così pure è indubbio che il software applicativo - il programma
incorporato nei dischi (i c.d. floppy disks) e le istruzioni manualistiche
fornite a parte - consista in una entità ormai svincolata dal dominio
del suo autore - analista di sistemi e programmatore -, nel senso che
non si ha più bisogno dell'uno o dell'altro per l'utilizzazione,
alla stessa stregua di qualsiasi opera musicale o di altro genere trasfusa
in supporti foto-magnetografici (dischi, nastri, pellicole), per la cui
utilizzazione non occorre più il compositore e l'esecutore.
Nello stesso tempo è opera conclusa, vale a dire bene individuata,
idonea all'uso per cui è stata prodotta e capace di utilizzazione
economica, siccome è notorio in piena epoca di volgarizzazione
informatica.
Il requisito della creatività - caratteristica più saliente
dell'opera tutelabile - è dato dalla novità e dalla originalità
dello sforzo intellettuale, cioè il pur modesto merito della relazione
ministeriale alla legge.
L'analista di sistemi, che determina la metodologia necessaria per la
elaborazione delle informazioni; ed il programmatore che scrive nel modo
più opportuno le istruzioni che costituiscono il programma - specializzazioni
che spesso coesistono nella stessa persona -, si avvalgono entrambi di
un linguaggio tecnico-convenzionale, concettualmente parificabile all'alfabeto
per chi scrive o alle sette note per il musicista, ecc.; ma similmente
a costoro, in tanto producono un risultato creativo, in quanto diano apporti
nuovi nel campo informatico, esprimano soluzioni originali ai problemi
di elaborazioni dei dati, programmino in modo migliore rispetto al passato
determinati contenuti di idee, seppure in misura appena apprezzabile.
Il nuovo nell'espressione formale di un contenuto ideativo - allora -
è il discrimine di proteggibilità anche per il software,
sicché non sono oggetto di protezione tutte le attività
preparatorie non collegate all'elaborazione della sintesi creativa e quelle
esclusivamente riproduttive di elementi già noti e sfruttati, per
così dire, il già visto.
In ultimo è appena il caso di dire come anche in Italia l'inquadramento
del software nella categoria delle opere che appartengono alle scienze
segue, ogni giorno di più, l'evoluzione culturale in riferimento
al progresso tecnico e scientifico.
Del resto l'informatica in genere, e quella giuridica in specie, sono
ormai divenute materie d'insegnamento secondario ed universitario; e,
comunque, sarebbe al di fuori del tempo presente se opere di così
sofisticato impegno culturale (in senso classico ed in quello sociologico)
non potessero comprendere nelle classificazioni della normativa di autore,
classificazioni - peraltro - non tassative per lungimirante scelta del
legislatore.
Il software è, dunque oggetto del diritto di autore, protetto civilmente
e penalmente dalle norme ricordate; né può essere altrimenti
- vale a dire tutelabile con i rimedi previsti dal codice civile in favore
delle invenzioni industriali e contro l'imitazione servile dei prodotti,
come è stato pure sostenuto - per esplicita esclusione legislativa,
giacché il d.p.r. 22 giugno 1979 n. 338 (v. art. 7 a modifica di
quello 12 r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, testo delle disposizioni legislative
in materia di brevetti per invenzioni industriali) ha stabilito la non
brevettualità dei programmi per ordinatori ed elaboratori.
Alla luce di queste considerazioni la decisione del Pretore di Napoli
- avendo negato il carattere creativo del software applicativo e l'appartenenza
dello stesso alla categoria delle opere scientifiche - viola ovviamente
la legge penale nella parte in cui l'imputato Pompa è prosciolto
dall'imputazione di cui all'art. 171, lett. c), perché il fatto
non è preveduto dalla legge come reato.
Nondimeno, non se ne può annullare l'efficacia assolutoria in difetto
di una impugnativa, contemporanea a quella della parte civile, ad opera
del pubblico ministero, titolare dell'azione penale.
Ma la situazione processuale dell'imputato deve essere riesaminata ai
fini della tutela della pretesa civile azionata nella presente sede penale
e pregiudicata dalla sentenza.
Ed allora - assorbita ogni altra questione - la sentenza va annullata
per violazione di legge nella parte esaminata ai soli effetti civili ed
il relativo giudizio rimesso al giudice civile competente ratione valoris
per l'appello.
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