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BREVE
RASSEGNA DELLA GIURISPRUDENZA SUI NOMI A DOMINIO
Le
Basi Giuridiche Della Tutela
L'assegnazione
del domain name, effettuata dalla Registration Authority
dopo aver verificato che non esistono altri indirizzi
identici, non implica la piena legittimità
d'uso.
"Molto" tempo fa(nel 1999), quotidiani e
periodici diffusi su internet, hanno pubblicato notizie
su stravolgenti sentenze giurisprudenziali relative
ai domain names, fra i titoli più eclatanti
ricordo: "Non è sleale la concorrenza
tra siti internet omonimi", "un dominio
non e' un trademark", ecc..
Altri hanno addirittura scritto che si puo' far soldi
registrando indirizzi web con nomi uguali o simili
a marchi noti e già legittimante registrati
presso le autorità pubbliche preposte: si citava
a mo' di esempio la storia di due texani che avevano
avuto la "geniale" idea di registrare i
siti microsoftwindows.com e microsoftoffice.com per
poi rivenderli a caro prezzo a Microsoft. E' chiaro
che la multinazionale di Bill Gates non ha gradito
ed ha fatto prontamente causa ai due, chiedendone
la condanna per contraffazione di marchio.
Si evidenzia peraltro che non può esser negato
il diritto di registrare un sito con la denominazione
di un marchio già registrato (ma non rinomato),
purchè i servizi offerti tramite il sito siano
completamente diversi da quelli individuati dal marchio
già registrato.
Infine, bisogna porre la dovuta attenzione alla qualità
del marchio, laddove il marchio è debole (ossia
descrittivo, generico, ecc.) in quanto privo di funzione
individualizzante e di sufficiente capacità
distintiva, non può essere tutelato ed appare
quindi legittima la registrazione di siti internet
uguali o simili a detti marchi deboli.
Questa breve introduzione fa comprendere come la materia
sia complessa e come i "casi" esemplificati
vadano interpretati solo a seguito di una attenta
lettura delle discipline dettate in materia di marchi
e di concorrenza.
Il
domain name e' un segno distintivo
La
giurisprudenza è concorde (salvo rare eccezioni
che esamineremo in seguito) nel ritenere che i domain
names non debbano essere considerati meri indirizzi
telematici, ma alla stregua di segni distintivi: "con
qualche affinità con la figura dell'insegna,
in quanto il sito stesso configura il luogo (virtuale)
ove l'imprenditore contatta il cliente fino a concludere
con esso il contratto" (così una ordinanza
del Tribunale di Milano del 10.6.97 - Amadeus/Logica).
Da ciò consegue il divieto di adottare come
dominio un segno uguale o simile ad un marchio altrui,
se a causa dell'identità o dell'affinità
tra l'attività d'impresa dei titolari del dominio
internet ed i prodotti o servizi per quali il marchio
è adottato possa determinarsi un rischio di
confusione per il pubblico, che può anche consistere
in un rischio di associazione fra i due segni. Eventuali
particelle aggiuntive (.it, .net, .com, eccetera)
sono state ritenute prive di attitudine distintiva,
"essendo relative alla mera localizzazione geografica
propria dell'elaboratore cui il sito appartiene"
o comunque troppo generiche. Ad es.: se il marchio
"Alfa" è stato registrato o adottato
per contraddistinguere la vendita di prodotti hardware,
l'indirizzo "Alfa.it" non potrà essere
adottato da terzi per contraddistinguere un sito che
commercializza o pubblicizza prodotti hardware.
Il divieto di adozione di un dominio internet uguale
o simile ad un marchio registrato, opera anche nel
caso in cui il marchio sia stato registrato per prodotti
o servizi non affini a quelli commercializzati tramite
il dominio internet, qualora il marchio goda di rinomanza
e l'uso del dominio consenta di trarre indebitamente
vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza
del marchio. Ad es. nessuno può registrare
un indirizzo internet "Coca-cola.it", anche
se all'interno pubblicizza o commercializza software
o capi di biancheria.
Inoltre, quando una impresa utilizza un domain name
idoneo a produrre confusione con i nomi o con i segni
distintivi legittimamente usati da altre imprese,
compie un atto di concorrenza sleale (che può
essere inibito giudizialmente) ed è tenuta
al risarcimento dei danni salvo che non provi di aver
agito senza colpa.
Dominio
simile: due sentenze a confronto
Può
anche accadere che due società fra loro concorrenti
utilizzino indirizzi di siti con denominazioni simili
senza che tali indirizzi siano stati precedentemente
registrati come marchi. E' accaduto ad esempio che
due imprese abbiano realizzato, in tempi successivi,
due siti che offrono servizi fra loro pressochè
identici (informazioni turistiche e storiche su Roma)
e che abbiano scelto come domain names, rispettivamente,
www.romeonline.it e www.romeonline.net. La confusione
è palese, ed infatti il titolare del dominio
registrato per primo si è rivolto al Tribunale
di Roma per inibire l'ulteriore uso del dominio registrato
in epoca successiva (www.romeonline.it). Il giudice
che si è occupato della questione ha stabilito
che l'attribuzione all'indirizzo internet del nome
Romeonline.it, adottata successivamente alla registrazione
del dominio Romeonline.net, non costituisce un illecito
in quanto si tratta "....di marchio descrittivo
e quindi debole, in quanto privo di funzione individualizzante
e di sufficiente capacità distintiva".
In un caso analogo, il Tribunale di Milano riconobbe
invece una tutela più ampia. La causa (risalente
all'agosto 97 e citata in precedenza) fu instaurata
dalla Amadeus Marketing società operante nel
settore dei servizi turistici e alberghieri nonche'
titolare del sito Amadeus.net (attraverso il quale
offre i propri servizi) e del marchio registrato Amadeus.
La società Amadeus si rivolse al Tribunale
di Milano per inibire l'uso del sito Amadeus.it, di
proprietà della Logica srl, attraverso il quale
si offriva -mediante link- la possibilità di
consultare pagine concernenti imprese prestatrici
di servizi turistici vari, anche con facoltà
di prenotazione telematica. Il concreto rischio di
confusione dei segni distintivi fu acclarato in maniera
indiscutibile dal Tribunale di Milano, tuttavia, non
fu genericamente precluso l'uso del dominio Amadeus.it
ma fu sentenziata l'inibitoria solo in riferimento
al settore turistico. In sostanza, il Tribunale di
Milano ordinò alla Logica srl di precludere
l'accesso, attraverso il sito Amadeus.it, a servizi
di prenotazione e turistici in genere ed alle correlative
informazioni e prenotazioni telematiche. In effetti,
visitando oggi il sito Amadeus.it non si legge più
alcun riferimento a servizi turistici e alberghieri,
ne' vi sono link ad altri siti di tipo turistico.
Il
dominio e' solo un indirizzo
Una
delle poche "note"(nota 1) fuori dal coro
della Giurisprudenza italiana si rinviene in una recente
ordinanza del Tribunale di Firenze (ord. 29/6/2001
- Sabena S.A. contro A&A). Il Giudice ha, in primo
luogo, circoscritto la problematica domandandosi "se
esista nell'ordinamento italiano il diritto di registrare
un domain name corrispondente al proprio marchio,
così tutelandolo, pretermettendo ed estromettendo
chi abbia già validamente registrato quello
stesso domain name in precedenza". La prima risposta
che si è dato viene dall'esame di Giurisprudenza
e dottrina dominanti, le quali hanno ritenuto in effetti
che tale debba essere considerata la registrazione
di un dominio, ritenendo conseguentemente applicabile
la legge sui marchi, anche in sede di cautela.
Tuttavia, argomentando dal fatto che le norme di internet
costituiscono un ordinamento fondato su regole di
contenuto strettamente tecnico, fra le quali è
bene ricordare la regola dell'unicità del dominio
ed il principio, adottato dalle Autorità che
provvedono alla registrazione dei nomi a dominio,
del "first come", "first served",
ha ritenuto non applicabile la suindicata disciplina.
In sostanza, la corrispondenza marchio-dominio, non
è un bene assoluto, non è un valore
assoluto e, soprattutto, non è un principio
positivamente sancito nel nostro ordinamento, tanto
che moltissime imprese, consce delle possibilità
che la rete offre ben al di là della corrispondenza
di cui si discute, puntano su altro, cioè sulla
qualificazione e apprezzamento del proprio sito, sui
servizi offerti on line, sui collegamenti ad altri
siti e/o servizi comunque utili per l'utenza. Tanto
che, proprio per regolare il settore, sono stati recentemente
predisposti dei disegni di legge già presentati
al Parlamento. Ma finché internet in Italia
non è regolata, normata ed in qualche modo
inclusa nell'ordinamento giuridico generale, il Tribunale
di Firenze è convinto che gli aspetti operativi,
tecnici e logici propri del Domain name System prevalgano
sull'utilità che la singola impresa può
ricavare dalla corrispondenza nome-dominio; che tali
aspetti operativi, tecnici e logici assimilino più
il domain name ad un indirizzo che ad un segno identificativo
di un soggetto. Il Giudice fiorentino è convinto,
in sostanza, che "la funzione del Domain name
System sia quella di consentire a chiunque di raggiungere
una pagina web e, in quanto mezzo operativo e tecnico-logico,
non può porsi per esso un problema di violazione
del marchio di impresa, della sua denominazione o
dei suoi segni distintivi".
La
diligenza del provider
In
conclusione di questa breve trattazione relativa ai
domain name, esaminiamo una recente sentenza del Tribunale
di Roma che ha coinvolto un provider in una questione
di "grabbing". La questione si ricollega
all'attività di hosting che molti provider
svolgono a favore dei propri clienti. Nell'ambito
di questa attività i provider permettono ai
clienti di immettere su Internet un sito con un domain
name scelto (e registrato) da questi ultimi. La sentenza
che andremo a esaminare sembrerebbe imporre al provider
un controllo preventivo sul domain name dei clienti,
utilizzando l'ordinaria diligenza al fine di cogliere
l'eventuale illiceità del nome a dominio e
impedire che lo stesso venga utilizzato.
Il fatto risale al marzo 1999. In estrema sintesi,
un utente del provider I.net aveva messo in linea
un sito sotto il dominio www.ina.it; l'Ina (Istituto
nazionale delle assicurazioni) aveva successivamente
adito il Tribunale di Roma chiedendo l'immediata inibizione
dell'utilizzo di tale dominio, in quanto il marchio
Ina risultava registrato fin dal 1986 e comunque la
denominazione della suindicata società era
sempre stata resa con l'acronimo Ina. Nel ricorso
l'Istituto nazionale delle assicurazioni sosteneva
la violazione delle disposizioni sul marchio e di
quelle relative alla concorrenza. Oltre alla suindicata
richiesta, l'Ina chiedeva anche al Tribunale che fosse
ordinato al provider I.net di disconnettere e impedire
l'uso del dominio www.ina.it all'utente.
A seguito del ricorso, l'utente rinunciava all'utilizzazione
del dominio "incriminato", I.net resisteva
invece alla domanda, sostenendo che una eventuale
responsabilità (per concorrenza sleale o violazione
della legge sui marchi), poteva essere attribuita
all'utente (titolare del nome a dominio) e non al
provider, che si era limitato a fornire l'allacciamento
alla rete e sul quale non incomberebbe nessun obbligo
di controllo del contenuto di pagine inserite nel
sito gestito dall'utente.
Il Tribunale emetteva la propria decisione sostenendo
che il provider non risponderebbe degli illeciti commessi
a sua insaputa (per esempio nel caso di comunicazioni
o informazioni illecite diffuse da terzi sul sito
e non oggetto di suo controllo), deve invece rispondere
del fatto illecito altrui qualora gli vengano fornite
delle comunicazioni all'evidenza illecite. "...L'opposta
opinione consentirebbe, per esempio, che vada esente
da responsabilità, pur sussistendo tutti gli
elementi del concorso nell'illecito, il provider che
dia il collegamento a chi dichiaratamente intenda
aprire un sito al fine di effettuare traffico di minori
a fini turpi o commercio di sostanze stupefacenti".
In virtù di questo principio il Tribunale di
Roma riteneva che l'ordinaria diligenza avrebbe dovuto
consentire di cogliere l'illiceità, almeno
sotto il profilo della concorrenza sleale, dell'utilizzo
di un marchio noto da parte di soggetto a tal fine
non autorizzato. Pertanto, venivano ritenuti responsabili
del fatto illecito sia l'utente (che aveva registrato
il dominio utilizzato) sia I.net (in concorso). Fin
qui la sentenza, cerchiamo adesso di capire quali
principi dovranno essere tenuti in considerazione.
In virtù della sentenza in esame, incomberebbe
sul provider/maintener un dovere di vigilanza sui
nomi a dominio. Secondo i giudici romani, i provider
(che ospitano siti di terzi) dovrebbero verificare
sempre la corrispondenza del nome a dominio con un
segno distintivo già registrato o comunque
noto e, qualora tale riscontro sia positivo, verificare
che l'utente che utilizza detto nome a dominio sia
il legittimo titolare del segno distintivo. Qualora
non compiano tali operazioni e il dominio corrisponda
a un marchio registrato, potrebbero essere considerati
corresponsabili degli illeciti commessi dall'utente.
La sentenza ha subito scatenato diverse reazioni meravigliate.
In effetti il controllo che sembrerebbe richiesto
dal Tribunale romano appare eccessivamente oneroso
per il provider che fornisca solo il servizio di hosting
a un utente che abbia già un proprio dominio
registrato. Il consiglio è tuttavia quello
di disciplinare contrattualmente la materia, ossia,
si consiglia di inserire nel contratto di hosting
una dichiarazione dell'utente nella quale lo stesso
sostenga la piena titolarità del domain name
registrato in osservanza della normativa italiana
sui marchi e sulla concorrenza.
Nota 1 - Vds. anche Tribunale di Bari, ord. 24
luglio 1996, secondo il quale il domain name è
un semplice "codice d'accesso ai servizi telematici".
In senso conforme al Tribunale di Firenze, è
intervenuta una ordinanza del Tribunale di Empoli
del 23 novembre 2000
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