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DIFFAMAZIONE ON LINE E GIUDICE COMPETENTE

a cura di Alessandra Toma

Non è passato, molto tempo dalla sentenza del Tribunale di Teramo del 6 febbraio 2002, n.112 in cui si è affermato che in caso di offesa dell'altrui reputazione tramite Internet si configura la "tentata" diffamazione e non il reato di diffamazione in sé, trattandosi di un reato che si consuma nell'istante in cui si verifica la diffusione della manifestazione offensiva.

Ricordiamo, infatti, che secondo il nostro codice si ha diffamazione quando Chiunque .comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione. senza che l'offeso sia presente (art.595 c.p.): requisito indispensabile, pertanto, è la divulgazione dell'espressione diffamatoria, indipendentemente dalla tipologia del mezzo usato.

Circostanza aggravante è che l'offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, considerato il maggior grado di penetrazione di questi stessi media.

In base all'art.1 della L.8 febbraio 1948, n.47 sono considerate stampe o stampati tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione.

Presupposto della decisione del Tribunale di Teramo è che la Rete consente di vedere un messaggio presente su di un sito solo se di questo sito si è a conoscenza o se lo si raggiunge interrogando un motore di ricerca che, casualmente, trova in esso la parola chiave. A differenza della stampa e della televisione, quindi, per Internet non si ha la prova che il messaggio diffamatorio abbia raggiunto più utenti e senza di essa, come nel caso di specie, la diffamazione è solo tentata. L'offesa alla reputazione si avrà solo quando gli utenti leggeranno in concreto tale messaggio.

E dare la prova di tale lettura non è affatto facile!

Da allora, eccoci alle prese con una nuova sentenza, questa volta della terza sezione civile della Corte di Cassazione che, con l'ordinanza n.6591, ha affermato la competenza del giudice del luogo in cui la vittima è domiciliata a decidere sulla richiesta di risarcimento danni per diffamazione a mezzo Internet. La decisione della Corte di Cassazione si basa sul presupposto che solo dove c'è la sede principale degli affari e interessi della persona danneggiata si verifica in concreto il danno che nasce dall'offesa alla reputazione (Cfr. il quotidiano "Italia Oggi" del 16/05/02).

Con tale decisione, la Suprema Corte ha dato ragione ad una banca del Salento che aveva presentato ricorso contro una sentenza del Tribunale di Lecce . il quale aveva dichiarato la propria incompetenza rispetto alla richiesta di risarcimento danni presentata dall'istituto bancario per diffamazione su Internet, in favore del Tribunale di Roma, sede della persona reputata colpevole dell'offesa ("Italia Oggi" del 16/05/02).

Da quanto sopra, si evince, quindi, che sono state ribaltate per Internet le regole della diffamazione a mezzo stampa, secondo le quali, in generale, il giudice competente a decidere in materia è quello del luogo in cui il giornale viene stampato o quello nel quale chi ha diffamato ha la residenza o il domicilio.

Che alla diffamazione a mezzo Internet non possano applicarsi le regole sulla diffamazione a mezzo stampa (art.13, L.47/48) o a mezzo di trasmissioni radiofoniche o televisive (art.30, L.223/90) fu detto anche dal Tribunale di Oristano con una sentenza del 25 maggio 2000.

Ad avviso del giudice di Oristano, ad Internet non possono adottarsi le suddette disposizioni normative per il divieto di applicazione analogica che caratterizza la disciplina penale (nullum crimen nulla poena sine lege) e di interpretazione estensiva.

Che ciò valga per l'art.1 della L.47/48 risulta confermato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 7 marzo 1989, n.259. Per quanto attiene alla disciplina delle trasmissioni radiofoniche e televisive, secondo il Tribunale di Oristano non può trovare applicazione nemmeno l'art.30, comma 4, della L.223/90, che estende il regime sanzionatorio previsto dall'art.13 L.47/48 ai soggetti indicati nel comma 1 dello stesso art.30, L.223/90 (concessionari pubblici e privati e loro delegati) per i reati di diffamazione commessi attraverso non meglio definite "trasmissioni" consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato.Le" trasmissioni" menzionate nel citato articolo sono solo quelle televisive e radiofoniche. Tali mezzi di diffusione di suoni e immagini, in assenza di un'esplicita presa di posizione del legislatore, non possono essere equiparate, per le ragioni esposte, alla diffusione di dati attraverso Internet, che avviene con modalità diverse dalla trasmissione via etere oggetto della regolamentazione operata dalla L.223/90.

Roma, 27 maggio 2002


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